Vero è che mi sono svegliata all’ultimo
e lunedì 11/5 mattina ho cercato di prendere online il biglietto (quello per
disabili) per mercoledì 13/5. Però non ci stava mica scritto da nessuna parte che
dovevo prenotarli con X giorni d'anticipo. Già il lunedì sera ero
inalberata, perché disability-tickets@expo2015.org
non aveva risposto in giornata e io non potevo prenotare il parcheggio (serve il biglietto Expo per farlo). Così ho scritto un tweet vagamente minaccioso ad @AskExpo. Sono una brutta persona, lo so... ma è che di solito con le buone maniere non sono mica abituata a ottenere qualcosa. Mi hanno subito contattato in privato e il
giorno dopo avevo il mio bel biglietto colorato a soli 17 euro. L'accompagnatore non paga, ma ritira il biglietto direttamente in Expo, se accompagnato dal disabile. Mi piace sta cosa che accompagno io l'accompagnatore!
Insomma, mercoledì mi presento
all’ingresso di Expo, naturalmente predisposta ad aspettarmi il peggio, perché è
a questo che ci ha abituato la realtà italiana.
Noto più di una biglietteria dedicata ai disabili, ma il mio biglietto ce l’avevo già, che so' ansiosa io! Mi danno al volo quello per il bipede al mio seguito.
Corsia
preferenziale per l’ingresso: mi fanno mettere la borsa sul nastro, un rapido e
doveroso controllo da parte di una tedesca davvero gentile. E' l'accento che li fa sembrare chissà che, porelli.
Ora, ho letto di diversi disabili
che lamentano l’inaccessibilità di Expo. E giuro che pure io ero pronta a
farlo! Eppure, dopo esserci stata, mi chiedo se abbiamo visitato davvero la
stessa cosa.
Ho letto di bagni per disabili
introvabili.
Grazie ai miei innegabili problemi di prostata
psicosomatica, ho testato ben quattro differenti bagni: uno fuori dai tornelli
e tre dentro. Confesso che in quello fuori ci sono andata per malafede: son
così abituata a non sapere bene dove e se potrò fare plin-plin, che appena vedo un
bagno accessibile, faccio la pipì preventiva.
Dopo la visita allo stand
Coca-Cola, ove si può bere gratis tutta la coca che si vuole, provando pure mix
personali e varianti allucinogene, tipo coca zero ciliegia e vaniglia, ecco che
la necessità del bagno si fa impellente. Grazie al logo disabili più grande che
abbia mai visto - una carrozzina bianca dipinta in alto, di almeno un metro, su
una struttura in legno, - ci ho messo tipo un minuto a uscire e trovare il cesso. Era pure
pulito. Volevo piangere.
Ma non finisce qui. Mi son detta: “Beh, se ci sono i bagni pubblici,
non posso mica pretendere che li facciano pure dentro padiglioni/ristoranti!”.
Poi ho mangiato in Russia e la vodka andava giù che era un piacere, dritta
dritta alla vescica. Secondo il noto principio che tentar non nuoce quasi mai,
ho provato il bagno. Non so quanto sia accessibile normalmente il Paese
dei Compagni, ma ho come il vago sospetto che uno dei pochi cessi russi
accessibili stia ad Expo. Non posso garantire per tutti i padiglioni e i
ristoranti, ma solo perché quando ho scoperto che c’erano già tre bagni adatti
in zona, la mia solita ossessione per la pipì si è vaporizzata.
Credo che ad Expo ci sia la
più grande concentrazione pro capite di bagni per disabili. Davvero: neanche a Lourdes!
Mi dicono che alcuni bagni nella zona italiana avevano le chiusure che non funzionavano ma, credo per inconscia abitudine, a fare la pipì nei padiglioni italiani non ci ho nemmeno provato. Confido - stranamente per me - che
sistemeranno pure quelli.
Ma basta parlare di cessi… so che
sono solo una mia personale mania, dovuta alla generale penuria.
Scale, scalini e barriere architettoniche fantasma
Ho girato per Expo applicando il rigoroso metodo scientifico del "giro a caso e vedo come butta". Il primo padiglione che ho visitato,
è stato quello del Cile. Ecco, vedendo lo scivolo mobile che, quasi
completamente al buio, ti porta in alto, mi sono allarmata. Sì insomma, io lo
so che i bipedi su certe cose non hanno occhio e temevo di vedermi sbucare
davanti, nelle tenebre, un gradino o una barriera in qualsiasi momento. Niente.
Liscia.
E così in altri padiglioni:
sempre a pensare che sarei arrivata in fondo, scoprendo poi di non poter procedere.
Del resto sono abituata ai marciapiedi italiani, dove di solito sali sullo
scivolo e scendi tornando in dietro, dopo diversi chilometri, dallo stesso scivolo.
Ad ogni padiglione, se avevo l’accortezza
di non incolonnarmi come un pecorone dietro ai bipedi, ma di avvicinarmi alle
hostess/stewart, ecco che venivo scortata all’ingresso più adatto per le sedie
a rotelle, saltando pure le code: gnègnè!
Qualche salita ripida c’è, ma
spesso anche l’ascensore, se chiedi. Con una carrozzina a motore, io opto sempre
per gli scivoli, ma capisco che con carrozzine manuali possa servire una
spinta. A volte basta chiedere eh...
Ecco, al limite Expo è un
problema per chi è anziano o, nonostante le difficoltà motorie, pretenda di
girarla col deambulatore anziché con carrozzina. Ho letto che presto metteranno
degli scooter elettrici proprio per chi fa fatica a spingersi o camminare tanto
a lungo.
Toglietevi comunque dalla testa l’idea
di vederla in un giorno! Io mi muovo a venti chilometri all’ora e – dalle 10
alle 22 – non ne ho vista metà. Alla fine della giornata, la mia carrozzina a
motore con batterie nuove aveva consumato oltre metà carica, mio marito invece
era in evidente riserva.
Unica pecca: il parcheggio per
disabili è in fondo e per chiedere il rimborso spese, bisogna attraversare
tutta Expo. Alla fine ho rinunciato ai miei 12 euro, ma l’ho fatto più sulla
base del principio che, per me, se è accessibile, è giusto pagare come gli
altri.
E’ sicuramente migliorabile, come
tutte le cose al mondo. Ma è da ammettere che ci hanno messo impegno e,
soprattutto, testa.
Per una giornata, mi sono sentita come durante le mie
vacanze all’estero: in un Paese civile.
Credo nelle critiche costruttive,
non nelle polemiche a prescindere. Se prendiamo a mazzate sui denti i bipedi
pure quando fanno un discreto lavoro per l’accessibilità, non è che li
incoraggiamo a continuare a provarci.
Io ho già ripreso un altro
biglietto, acquistato stavolta dentro la Stazione di Cadorna a Milano, da cui passo ogni
giorno per lavoro. Il 19 giugno farò 40 anni e spero addirittura che qualcuno
mi regali il Season Pass (chi ha orecchie per intendere…). Anzi, secondo me
dovrebbe proprio regalarmelo Expo, perché se chi legge questo blog non mi
conoscesse, si potrebbe pure pensare che questo pezzo è una marchetta.
E’ così drammaticamente facile trovare occasioni
per denunciare strutture inaccessibili… ecco, magari non andiamoci a lamentare
per delle sciocchezze, se vogliamo restare credibili.
Cioè no… Non ce la faccio
a non dirlo… Ma tipo il disabile che su un certo giornale si lamenta, tra l’altro, che
aveva la ruota sgonfia e gli hanno dato una pompa solo allo stand dei gelati?!
Intanto è come se una bipede si rompesse il tacco di una scarpa e denunciasse l’assenza
di ciabattini dentro Expo. In secondo luogo… ma esistono davvero disabili che
vanno in giro con gomme non piene senza portarsi dietro la bomboletta per le
forature o una pompa?! E poi dice pure che lui è uno adattabile e che sa arrangiarsi...
No, davvero, scusate: giuro che
volevo andarci con tutte le buone intenzioni di criticare, ma non ci sono
riuscita. Lo dimostrano ampiamente alcuni miei post precedenti, in cui esibisco tutto il mio EXPOSCIETTICISMO. Inizio a sospettare di non essere la spacca-maroni che vorrei.
Comunque ci tornerò. Magari poi
scopro che i padiglioni che non ho visto erano del tutto inaccessibili.
Per ora vi do il mio ok sui seguenti padiglioni, in
rigoroso ordine a cazzo:
- Regno Unito. Andateci la sera, per apprezzare al
meglio l’alveare e l'unica passeggiata in sedia a rotelle che riuscirete mai a fare in un vero e selvaggio prato inglese (c'è il trucco!)
- Francia. Entrate dal lato. Tutto ok e all’uscita,
dove c’è il chiosco a forma di camioncino, vi offrono pure un formaggio meraviglioso,
ma così evidentemente calorico da poterlo smaltire solo visitando tutto il
resto di Expo.
- USA. Quelli c’hanno interi stati accessibili,
figuratevi se non lo è il padiglione!
- Germania. Accessibilità teutonica.
- Slovenia. Delle hostess gnocche vi aiuteranno
persino a infilare il casco per la realtà virtuale, se non riuscite ad alzare
le mani da soli o se fingete di non saperlo fare perché siete disabili
marpioni.
- Israele. A parte che potrebbero assumere un
Marketing Manager che non li faccia sembrare gente che se la tira come se ce l’avessero
solo loro (l’agricoltura), nessuna critica all’accessibilità.
- Giappone. Vi scorteranno nel percorso più rapido
e adatto. Nella sala delle proiezioni sui piatti, ho temuto di far danni, ma le
strutture sono flessibili, fatte apposta per piegarsi e il passaggio c’è.
- Corea. Se vi avvicinate a meno di dieci metri con
una sedia a rotelle, dei bodyguard vestiti di bianco - tipo Mr. Tattoo, ma alti alti - inizieranno ad armeggiare con le radioline per
farvi scortare sul retro. E non provate a dirgli che mica volevate entrare, perché
non parlano italiano e vi ci portano lo stesso. Comunque il padiglione merita,
soprattutto se vi piace il genere Apple-style…
- Thailandia. Bel padiglione. Poi le tailandesi
sono alte in piedi quanto uno in sedia a rotelle. Per una volta, potrete provare l’ebbrezza
di non essere guardati dall’alto in basso.
- Russia. Mi è sembrato il più bello, ma forse a farmelo
asserire sono stati soprattutto gli shot di vodka e il bagno accessibile che mi
è servito dopo.
- Cina. Meraviglia architettonica esterna… ma il
pippone del ministro dell’Agricoltura anche no.
- Quatar. Il nome fa pensare al peggio. Lo scivolo
è lungo, circolare e sembra non finire mai, ma la pendenza non è intrattabile. Sembra di scendere in un girone infernale, ma accessibile.
- Kuwait. Grandi!
- Oman… evitate magari il giardino superiore con
ghiaia, se non volete impantanarvi. Io me ne sono fregata e poi avranno dovuto
chiamare qualcuno con la ruspa a risistemare suppongo.
- Austria. Il bosco vale la pena davvero. I
mini-gradini (meno di 5 cm) sullo scivolo potrebbero infastidire una carrozzina
a mano (se ci si spinge completamente da soli e non si è il tipico paraplegico
che compensa coi bicipiti) o chi ha grossi problemi a tenere dritto il collo.
Expo vale comunque la pena soprattutto per le architetture esterne: finalmente della nuova Arte in Italia e mica piena di scalini, come il Ponte di Calatrava!
Dulcis in fundo: chiudete la
giornata con lo spettacolo dell’albero della vita delle 22.30. Chi dice che è pacchiano, ha una fantasia sciapa. Arrivate un po’ prima se non volete che qualche bipede vi si pari davanti, coprendo la visuale. Io
sono arrivata tardi e l’ho visto comunque benissimo… ma suppongo che molte altre
persone possano farsi degli scrupoli a passare sopra a degli esseri umani con una
carrozzina da 112 chili.
Me ne mancano molti altri di padiglioni. Se
volete una recensione più dettagliata, vi ricordo tre parole: COMPLEANNO e SEASON PASS.