Anche se non lo dico in giro -
che poi la gente mi racconta i propri - la mia tesi di Laurea all’Università l’ho
scritta sui sogni. A parte che cacchio significano quelli degli altri, so quasi
tutto quel che c’è da sapere sui prodotti di una mente addormentata… oddio,
diciamo di una mente in fase R.E.M., che di menti addormentate se ne vendono in
giro anche troppe pure di giorno. Comunque, ci ho messo quasi un anno di
addestramento a rendermi conto di sognare ogni notte e un po’ di più a
ricordare i miei sogni. Quanto al coglierne i significati, il mio Inconscio non
è che s’impegni più di tanto con la censura e il camuffamento. Pare infatti che
la Me Addormentata sia stronza quanto e più della Me Sveglia.
Come dicevano La Fata Madrina e Sigmund
Freud, il sogni son desideri… di felicità. Ma non è mica vero che nel sonno non
hai pensieri, a meno che non ti sia calato un flacone di Roipnol. Quando dormi,
hai esattamente gli stessi pensieri di quando sei sveglio, senza alcun filtro
logico e nessuna razionalizzazione. Nel mio caso, faccio sogni così tranquilli che quando mi
appare Freddy Krueger tiro un sospiro di sollievo. Altre volte invece, passo proprio la notte in
bianco, perché mi ha fatto male qualcosa: generalmente è la vita.
Da sveglia
puoi auto-ingannarti quanto vuoi e sentirti forte, ma i sogni non mentono mai,
per questo li ascolto… per questo e perché comunque sarebbe difficile ignorare
qualcuno che si mette a urlare nel cuore della notte, specie se sei tu.
I sogni mi hanno sempre
comunicato grandi verità.
Durante una crisi mistica, sognai
di essermi smarrita su una strada stretta e tortuosa, che scorreva a filo di un
baratro (il bello dell’Inconscio è che sa essere incredibilmente melodrammatico nelle
sue rappresentazioni metaforiche). Cercai l’aiuto di un prete, per raggiungere la mia famiglia, che
si era riunita in un posto di montagna per festeggiare Paqua. Ma il prete ingranò la marcia sbagliata e gli rimase il cambio in mano, facendo
fermare l’auto proprio con due ruote dentro e due fuori dal ciglio. A quel punto mi sono svegliata serena come un furetto sotto anfetamina
e mi sono riaddormentata dopo due ore, trovandomi su un treno che sapevo diretto nella direzione
sbagliata. Chiesi informazioni a due preti, ma confessarono di essersi persi
anche loro.
Tipico del mio Inconscio è
cominciare con un sogno di facile interpretazione, farmi svegliare e
riaddormentare, per presentarmi una versione semplificata del sogno precedente,
dimostrando così di considerarmi una pessima psicologa.
E’ però anche da riconoscere che
è il mio Inconscio ad arrivare prima di me ad alcune semplici risposte, del
tipo: “Se sei in crisi mistica e vuoi
trovare una via d’uscita, ti stai rivolgendo alle persone sbagliate”.
Sembra una cazzata, ma per
capirle davvero le cose, non devi solo saperle, ma anche sentirle.
Sempre il mio Inconscio, nell’ultimo
periodo di stanchezza, mi ha indicato dove stava la minaccia con un messaggio a
prova di stupido: mettendo un cartello sopra la porta della mia Università con
la scritta “HIC SUNT LEONES”, dopo avermi precedente fatto sognare che un
branco di leoni fuggiti dallo zoo stava entrando nella mia casa,
attraverso un buco nella rete che non avevo notato.
In questi giorni ho seguito il
consiglio notturno: ho messo una toppa alla recinzione e ho ricominciato a
ruggire a pieni polmoni. Pare che da qualche giorno il leone si lamenti di
soffrire d’insonnia, senza rendersi conto che è un bene, perché appena chiuderà
gli occhi, sarò io ad apparirgli in sogno.
Lunedì notte invece, il mio
Inconscio ha dato il meglio di sé. Ero nel suo studio (sì, il mio Inconscio ha uno studio, perché al contrario di me, lui è riuscito a diventare un'analista) e,
ovviamente, lui era tale e quale sputato Sigmund Freud. Ero lì a parlargli dei
miei cazzi, mentre lui sbadigliava (del resto lo farei anche io ascoltando i problemi altrui: è il motivo per cui non sono diventata analista). Raccontavo a quell’insensibile del peso
della vita, della stanchezza, del bisogno di una pausa tra un casino e l’altro.
E mentre parlavo, l’acqua ha iniziato a invadere la stanza e a salire. Sapevo che
sarei annegata, ma Sigmund mi ha detto di restare dove stavo, perché avevamo
ancora quindici minuti di tempo. Mi ha chiesto di chiudere gli occhi, fare qualche
respiro veloce, digrignare i denti e tendere i muscoli del corpo. Mi ha costretto a rievocare nella mente tutte le
cose che mi avevano fatto arrabbiare negli ultimi dieci giorni e ha voluto che mi aggrappassi
a quei pensieri. Poi mi ha ordinato di ripetere più volte, a voce sempre più
alta: “lo sono arrabbiata, furiosa, completamente
nera, furibonda, incazzata. Io sono...”. L’acqua saliva e io ero sommersa nel
gorgo dei miei pensieri omicidi. Quando è arrivata alla bocca, invece di
spaventarmi e affondare, mi sono gettata a bomba dal lettino, come quando entro in piscina:
senza pensare che è fredda e che potrei non riuscire ad emergere se per caso ai miei muscoli quel giorno gira male. Ho toccato il
fondo (metafora un po' scontata: l'ho detto pure io all'Inconscio). Poi ho visto una mano protesa: era quella di Sigmund, ma invece di
tirarmi fuori, mi spingeva la testa sotto. Così l’ho morsa e ho cominciato a
nuotare. Poi quello stronzo si è messo a ridere e mi ha dato il suo più mite
consiglio: “Come dissi a Hulk, il segreto
non è restare calmi, ma essere sempre incazzati. Lo hai capito così o devo
dirtelo con un sogno a prova di deficiente?”
Beh, non so se ho proprio capito
tutto, ma sicuramente è meglio che alle soluzioni ci arrivi da sola, la
prossima volta, perché il mio Inconscio è evidentemente specializzato in
terapia d’urto... cioè, più di me.
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