sabato 4 gennaio 2014

Buoni spropositi per il nuovo anno

Il primo gennaio 2014 mi trovavo alla Triennale di Milano anziché in terapia intensiva, come accadde nel 2013: io questo lo chiamo un inizio promettente.

Per quanto l'enorme balena di peluche di Nedko Solakov sia affascinante, sono però sicura di non averla fissata tanto intensamente e con tanto pathos, quanto il monitor che il primo gennaio 2013 misurava i parametri cardiaci di mia madre. Poi dicono che l'arte sia coinvolgente!

Insomma, il 2014 è iniziato in sordina, ma chiunque dica di desiderare una vita piena di forti emozioni, dovrebbe specificare meglio di che tipo… metti che i desideri si avverino.

A giudicare dai post di parenti e amici su Facebook, questo deve essere il periodo dei bilanci in negativo, dei buoni propositi e delle promesse di cambiamento. Io invece vorrei che, per un po', tutto rimanesse come sta. Non che stia vivendo una vita sempre divertente, entusiasmante e felice, ma conosco abbastanza bene il lato oscuro dell'esistenza da voler provare ad aggrappami a quello che ho e che non vorrei mai perdere. Certo lo dico oggi, appena uscita dal lettone e con una tazza di tè fumante qui accanto. So benissimo che dopo un paio di settimane di routine lavorativa e casalinga, comincerò a lamentarmi per il fatto che non accade nulla, dimenticandomi che il "non accade nulla" è precisamente ciò che ha reso così gradevoli questi primi giorni del 2014.

Nella vita mi è capitato spesso di fermarmi consapevolmente un attimo, per cristallizzare alcuni pensieri nella mia memoria. Ricordo che la prima volta avvenne alla fine delle superiori. Ero incredibilmente triste per la consapevolezza che non avrei più rivisto giorno dopo giorno i professori che stimavo tanto e, immersa nella disperazione di tetre previsioni future, presi questo appunto mentale: "Devo ricordarmi che questo è il periodo più felice della mia vita, anche se tra qualche anno potrà sembrarmi diversamente. Prometto che continuerò a scrivere per sempre alle mie prof., anche se loro dicono che non accadrà. Non rinuncerò nemmeno ad un incontro con gli amici dell'oratorio per l'università e continuerò il mio impegno nella Chiesa e nella catechesi dei più piccoli". 

Oggi, più che una promessa, sembra una minaccia.
Per fortuna la vita ha spesso mandato a monte i miei buoni propositi!

Ogni volta che ripenso alla mia adolescenza, riesco solo a ricordare amici che facevano alcune attività con me e altre tra loro, perché infondo io ero una "buona azione" e poi forse il divertimento vero cominciava dopo avermi sbolognato. Allora sentivo di dover essere grata per ciò che mi davano e di dovermi sentire in colpa perché volevo essere come loro, con loro, anche dopo che mi avevano riaccompagnata a casa per continuare la serata. Ricordo il disinteresse per tutto ciò che non fosse "intellettuale" e palloso, le liti furibonde con i miei genitori, la loro incapacità di comprendere quando invece comprendevano fin troppo e il piacere di non staccare mai la testa dai libri.

Praticamente ero l'incarnazione del mio attuale peggiore incubo, eppure pensavo di sentirmi felice. 

Ho letto cose che avrebbero fatto assopire furetti sotto anfetamina, visto film francesi di ogni colore, studiato l'esegesi di decaloghi di celluloide, sino a perdere ogni senso del senso nella cinematografia russa e polacca. Leopardi era il mio migliore amico e insieme formavamo una gran bella coppia di sfigati, convinti che i coetanei ci evitassero per le nostre deformità anziché per il fatto che eravamo due piattole cosmiche e culturalmente snob.

Direi che di strada ne ho fatta molta, se penso che il film più impegnato che ho visto di recente è stato "Star Trek into darkness" e la lettura più religiosa "Il Vangelo secondo Biff. Amico d'infanzia di Gesù". Inutile dire che ora sarò pure più capra, ma ho molti più amici di prima.

All'epoca ero un po' come Hachiko: un'eroina intoccabile con tragici sogni irrealizzabili, seduta nei pressi della stazione, ad aspettare di salire su un treno che dentro di me sapevo non sarebbe arrivato mai. Volevo stare dove stavo: perché ero certa che il futuro non avesse in serbo altro. 
Cacchio se mi sbagliavo, soprattutto in fatto di treni!

Eppure una parte di me era così avanti da sapere cosa avrei pensato del mio Fantasma del Natale passato e da lasciarmi un chiaro messaggio stampato nella memoria: "Questo è il periodo più felice della mia vita…". Per quanto ora mi sembri l'esatto contrario, chi sono io per contraddirmi?

E poi arrivò il temuto periodo universitario, quello che molti ricordano per lo studio matto e disperatissimo e che invece per me fu una pacchia assoluta. Avevo studiato tanto e con tale accanimento dalle suore, che all'università non mi pareva vero di dover affrontare una sola materia alla volta. Fu l'epoca delle amicizie eterne finché durano, dei viaggi, delle interminabili uscite in cui non ci si stancava mai di parlare dei grandi temi della vita e di Harrison Ford. E così presi un altro appunto mentale: "Alle superiori mi sbagliavo: questo è il periodo più felice della mia vita! Ho i miei amici, i soldi della pensione d'invalidità e della borsa di studio, nessuna spesa, tanti viaggi, nessuna responsabilità se non superare degli esami, che fingo di trovare difficili solo per non far capire a mamma e papà quale cuccagna sia."
Ecco, quell'appunto mentale lo trovo già più credibile, sebbene non vi sia alcuna traccia della disperazione ormonale che provavo per il fatto di essere sempre perdutamente innamorata, come tutte le ragazze di quell'età, senza mai trovare un ragazzotto con le palle necessarie e sufficienti a provarci con una tizia in sedia a rotelle che si vestiva col minimo sindacale di tessuto.
A confronto del mio guardaroba dell'epoca, oggi sembro una suora di clausura.
Ci provavo con tutti: l'unica cosa al mondo che non avrei mai permesso accadesse, era morire vergine. Per fortuna, dal terzo anno di psicologia, le miei amicizie si spostarono dai bravi ragazzi dell'oratorio a quelli decisamente cattivi: quelli che mi facevano bere cose col nome di armi di distruzione, che mi proponevano di fare "un tiro" di altre per cui mia madre mi avrebbe rinchiusa in camera ingoiando la chiave e che non mi riportavano a casa alle dieci perché mi scappava la pipì, ma me la facevano fare, ovunque si fosse. E non uno che approfittasse della situazione, merda!
Ma col tempo arrivarono anche i "morosi", più o meno ufficiali: sani, belli, pragmatici come solo una scuola professionale sa sfornarne e disposti a chiudere un occhio sulla carrozzina pur di poter aprire l'altro sulla scollatura. E così, a ventitré anni, con una laurea in mano, il tirocinio finito, un sacco di amici fissi e un moroso a rotazione, presi l'ennesimo appunto mentale: "Questo è l'apice della mia vita: bella e brillante come ora non potrò mai più esserlo: goditela finché puoi, perché appena qui intorno cominceranno a farsi una famiglia, per te sarà finita."

In effetti ora qualche ruga ce l'ho… ed è al contempo rassicurante ed irritante per una cui era stata data la certezza di non doversi mai procurare creme al collagene pur di rimandare il tracollo gravitazionale.

Ma per fortuna quello non era l'apice della mia vita e non lo è stato nemmeno il proposito di qualche anno dopo, di dedicarmi completamente al lavoro e ricercare in esso la fonte della mia realizzazione personale.

Mi sono sposata, senza nemmeno crederci troppo: se va va. E ora non saprei cosa fare senza questo tizio che dorme nel mio stesso letto, mangia tonnellate di cibo che non posso nemmeno guardare, russa e lascia una marea di scarpe in giro per la casa di una come me, che non ha mai saputo bene dove infilarsele ste scarpe che pare obbligatorio indossare pure se non cammini. Sì, nove anni di convivenza con lo stesso tizio che non cambierà mai le piccole cose che vorrei proprio cambiasse, ma nemmeno in quelle tipo che si alza senza fare una piega ogni volta che nel cuore della notte "Amore, mi scappa la pipì."

Una volta lessi in un libro che alcune persone è come se trascorressero la vita dormendo, quasi inconsapevoli di sé e delle cose che passano, finché un giorno, magari dopo anni, si guardano allo specchio, scoprendosi improvvisamente vecchi, con anni alle spalle di cui non hanno fermato un solo istante, piene di sgomento per il tempo trascorso lasciando che la vita li vivesse. La routine fatta di gesti sempre uguali a se stessi, capace di rubarci intere giornate di vita, se non mesi o anni, in cui ogni giorno si confonde con gli altri, privandoli di qualsiasi importanza.
Ne ho passati anche io di periodi così e il brutto è che te ne accorgi solo quando hai ricominciato a vivere. Allora ti chiedi: chi mi restituirà tutte le ore in cui ho perso la consapevolezza di me mietendo raccolti virtuali? Quando sarò immobile in un letto, come farò a non maledirmi per i giorni trascorsi a vedere pessima TV pur avendo ancora le forze per uscire di casa? Quando sentirò il Triste Mietitore alitarmi sul collo dopo essersi mangiato il mio fegato alla vicentina, quanto mi sembrerà stupido aver buttato intere giornate cercando di far passare il tempo?

La maggior parte delle volte viviamo rimpiangendo il passato o aspettando il futuro. Spesso la nostra testa sta semplicemente da un'altra parte, anziché dove dovrebbe stare: qui ed ora.

Oggi prenderò un'altro dei miei promemoria mentali, ma facciamo che me lo scrivo, perché l'età avanza e la memoria fa cilecca: "Il 2013 è iniziato di merda, ma poi è stato l'anno migliore di sempre. Mi ha fatto capire che non devo dare per scontate le persone che amo e che la realizzazione personale non si può trovare dietro una scrivania. Soprattutto, il 2013 mi ha dimostrato che le cose più sorprendenti della vita accadono a qualsiasi età, purché si sia disposti a vivere da svegli e a dire qualche sì insolito, senza rimuginarci troppo e porsi problemi che potrebbero non presentarsi mai. Ora mi sembra che questo sia il periodo più bello della mia vita, ma spero di sbagliarmi… come al solito."

Oh, di buoni propositi in passato ne ho fatti tanti, ma per fortuna la vita aveva progetti differenti per me.


Non sono tipo che dà consigli, ma oggi mi sento un po' Guru e quindi farò un'eccezione.

Fate progetti e ponetevi degli obiettivi, ma se potrà capitare che uno dei vostri sogni s'infranga, seppellitelo con dignità e tenete gli occhi bene aperti sullo scorre del tempo e sulle decine di piccole cose che ogni giorno accadono intorno a noi. Non dite di no, solo perché non era in programma: spesso un po' di soddisfazione la si trova dove non la si stava cercando e, ancor più spesso, il realizzarsi di un vecchio sogno può diventare il nostro incubo peggiore. 


La "Balena" di Nedko Solakov, esposta alla Triennale. L'unico modo per scorgere la luminiosa luna celata nel suo ventre, è mettersi col culo all'aria… oppure convincere un bipede a farlo per te, per scattare una foto del suo interno, dato che tu, povera disabile, non puoi metterti carponi. La foto di sopra è stata scattata il 1° gennaio 2014 e dimostra che i bipedi ci cascano sempre, anche se sono tuoi parenti stretti.

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