sabato 3 novembre 2012

Chi si accontenta gode, per circa cinque minuti

Ultimamente ci insegnano un sacco di cose sbagliate o forse lo hanno sempre fatto, ma una volta non stavo a sentire nessuno. Voi però siete bravi ragazzi ed ascoltate persino una come me, che manco cammina, eppure è convinta di detenere la verità assoluta su come dovrebbero essere il mondo e le persone. Quindi ora ne approfitto per dirvi che gente molto più pagata di me, dice un mucchio di stronzate. Io probabilmente ne sparo altrettante, ma almeno le mie sono gratis. 

Prendete la Fornero: uno pensa di poter lasciare i propri figli davanti alla TV mentre parla un Ministro e invece, appena ti distrai, ecco che salta fuori Lei a insegnare ai tuoi pupilli come si perde, senza nemmeno provare a giocare. 
Non è che sono stupida, lo so anch'io cosa intendeva affermare dicendo che i giovani d'oggi sono troppo "choosy". Per Diana, mi occupo di orientamento al lavoro e selezione del personale! Non passa settimana senza che senta un laureando dire: "Fino a Vigevano?! Ma non c'è qualcosa di più vicino?". Tesoro di mamma: vero è che hai una quasi Laurea in Agraria e non in Geografia, ma potevi sospettarlo che a Milano non si trovassero molte risaie, no? Che poi il discorso del "così lontano" capita sempre a me, che nemmeno mi reggo in piedi e ogni giorno mi sparo due ore all'andata e due al ritorno per giungere al lavoro, generalmente prima dei colleghi milanesi. 
Ma se io lo faccio e dei baldi giovani bipedi in salute no, forse è solo perché mia madre ha sempre pensato che potessi farlo.
Ma torniamo alla Ministra. Tutto vorrei fare nella vita, fuorché dare in parte ragione alla Fornero. Invece è vero: molti (non tutti) giovani moderni tengono il culo pesante. Sarà stata la Playstation, sarà colpa di Internet che gli porta il mondo in casa, saranno mamma e papà, che dopo aver sborsato migliaia di euro per l'istruzione del figlio, mai vorrebbero vedere la salute del piccolo Albert consumarsi nel pendolarismo. 

A volte pure la Fornero ci azzecca, ma per fortuna poi ne spara una talmente grossa da far dimenticare qualsiasi affermazione sensata sia mai uscita da bocca umana. Perché, secondo la Fornero, i nostri giovani virgulti schizzinosi devono imparare ad accontentarsi. 

Accontentarsi di cosa? Ad oggi la Ministra non ha ancora dichiarato pubblicamente qual è il valore minimo accettabile che i giovani dovrebbero imparare a farsi andare bene. Credo sia per quello che, nonostante le apparenze, è ancora viva.

A parte che, secondo me, non puoi dire ad altri cosa insegnare ai loro figli se i tuoi stessi figli non hanno fatto il cameriere almeno un'estate nella vita, prima di diventare professore associato. 

Ma il punto è che i giovani non devono imparare ad accontentarsi: devono imparare a cogliere qualsiasi occasione, anche la più scomoda, per iniziare a muoversi verso un obiettivo preciso, sfidante e dichiarato.

E qui casca l'asino. 

Provate a chiedere a un ventenne cosa vorrebbe fare nella vita: quasi nessuno ve lo dirà. 
Io pongo questa domanda almeno cinque volte a settimana a un mucchio di giovani studenti, ma solo due o tre mi rispondono come si deve, quei due o tre che sono sicura diventeranno qualcuno.

Non ho ancora ben capito se i giovani non dicono cosa vorrebbero fare davvero perché non lo sanno, o perché hanno paura di fare la figura dei fessi ammettendo di avere dei sogni. 

Se fosse così, che razza i mondo è quello in cui persino sognare è diventato qualcosa di cui vergognarsi?

Quando chiedo "cosa ti piacerebbe fare?", i più mi rispondono: "trovare un lavoro" e, facendo così, non lo troveranno mai, non grazie a me almeno. Perché si dà il caso che la prima regola di un buon selezionatore non sia trovare qualcuno che vuole un lavoro, ma l'unico che voglia quel lavoro o, perlomeno, qualcuno che per arrivare al lavoro della sua vita deve passare proprio da quel lavoro lì.

Il segreto non è farsi andare bene per sempre la prima cosa che capita: chi si accontenta gode i primi cinque minuti ed è insoddisfatto il resto della vita.

Perché accontentarsi significa stare immobili, cercando ogni giorno nuovi modi per ingannare il tempo, per non pensare che sei seduto sulla riva del famoso fiume, ad aspettare di veder passare il tuo stesso cadavere. 

Accontentarsi è la cosa peggiore che si possa fare a se stessi. 
Nell'accontentarsi non c'è felicità, forse nemmeno consolazione. 

Chi si accontenta non può essere felice, semplicemente perché la felicità stessa è qualcosa di effimero, che si tocca davvero dopo ogni piccolo o grande traguardo della vita e che poi sfugge nuovamente e ci strizza l'occhiolino dalla cima di una nuova montagna. E ogni volta che tocchi la felicità, lei si allontana e tu la guardi un po' scocciata, come a dirle: "Dammi tregua!!". La fissi arcigna, ancora col fiatone: ti chiedi per un momento se non sia il caso di accontentarsi e fermarsi... magari per un po' lo fai anche. Poi un giorno ti prende la malavoglia: hai già un sacco di cose che altri sognano, eppure non basta.  Inizi a chiederti se quella sarà la tua vita fino alla fine… e non è che sia una brutta vita! Nessuno avrebbe scommesso su un terzo delle cose cose che hai fatto! 

Però ti guardi indietro e vedi tutte le montagne che hai già superato. Poi guardi avanti e vedi un obiettivo che ti fa ciao ciao con la manina e inizi a pensare che quella montagna non è più alta delle precedenti e nemmeno più lontana. 

Dici agli altri che sei pronto a riprovarci, che infondo non importa se non riuscirai... ma non è vero, perché se non t'importasse, non ci proveresti nemmeno.  Così ti rimetti in moto: dopo tutto ad accontentarti fai sempre in tempo.

Prima del mio lavoro attuale, facevo la pensionata. Ero brava a scuola, si può dire che avessi una sorta di "metodo di studio innato", così iniziai a dare ripetizioni. E dove puoi mai andare a finire nella vita se dai ripetizioni? Guadagnavo qualche cinquantamilalire al mese, senza chiedermi se ne valesse la pena a lungo termine. Però avevo iniziato a notare una cosa: se ero convinta che il mio studente potesse imparare, quello imparava… il problema è che ero convinta che tutti potessero farlo. 

In breve, divenni molto richiesta e quasi pensai che potesse bastare. 

Poi mi sono iscritta all'università, anche se tutti lo consideravano "un modo per tenersi impegnata"
Mi piaceva psicologia e come ogni neofita della materia, iniziai a fare un sacco di auto-analisi e a fantasticare di diventare una grande psicoterapeuta. Peccato che dopo cinque anni di seghe mentali sei a pezzi: hai smontato te stessa pezzo dopo pezzo, analizzato ogni sogno, lapsus, gesto, scoperto che sei una persona orribile e, cosa peggiore, che non solo non sarai mai una brava terapeuta, ma nemmeno una brava persona. Per inciso, ti sei accorda da tempo che i depressi ti deprimono e hai studiato abbastanza da capire che se farai la psicoterapeuta vedrai un mucchio di gente triste. Avete mai sentito di qualcuno che va dallo psicologo perché è di buon umore?

Anni e anni di auto-analisi per comprendere che se una cosa sta nell'inconscio di solito è per un ottimo motivo e per constatare che, se mai deciderai di fare la terapeuta, finirà con un sacco di gente che si suicida, inclusa te. 

E con questa nuova consapevolezza addosso, arrivi a scegliere il tirocinio obbligatorio e non è che ci sia poi molto da scegliere, soprattutto se sei disabile e le strutture ospitanti hanno tutte le scale, tranne Telefono Azzurro. 

Il problema è che se c'è qualcuno che sopporto ancor meno dei depressi, quelli sono i bambini. 

E allora non c'era nemmeno la Fornero a dirmi di non essere "choosy". Mi son fatta due conti e ho compreso che un po' di esperienza non retribuita a due ore di strada era comunque meglio dello stare a casa a fare la calzetta. Fu così per tre mesi, durante i quali fu evidente a tutti che ero troppo bacchettona per rispondere ai ragazzini al telefono. Però ero brava a scrivere e a usare il computer, grazie a un corso per operatore telematico frequentato anni prima, che pensavo non mi sarebbe mai servito nella vita, ma che era gratis. 

Poiché un tirocinante non costa nulla, perché non farmi provare l'ufficio formazione? 
E cavolo, quella roba lì mi piaceva proprio. 
Misi nel cassetto la storia della psicoanalisi e iniziai a fare formazione e a scrivere libri per Telefono Azzurro. Il tutto per seicentomilalire al mese, con spese di viaggio pari al 110% delle entrate, visto che i miei genitori mi portavano a Milano in auto e mi venivano a riprendere la sera, sempre in auto. 

Per quanto lavorare a Telefono Azzurro mi piacesse tanto quanto mi piaceva il Capo di allora, fu chiaro che dovevo trovare qualcosa di vagamente redditizio. Aiutare il prossimo è bello, ma se lo fai a lungo gratis, finisce che il prossimo vorresti rapinarlo... e da quelle parti c'erano solo i proverbiali lecca-lecca in mano ai bambini. 

Feci concorsi comunali di ogni tipo, che persi sempre per un soffio. Queste sconfitte sono l'unica cosa di cui sono grata a Dio, o alla mia inattitudine alla burocrazia. 
Dopo aver fallito il concorso per un posto all'anagrafe dietro casa mia, piansi per giorni.

Ogni volta che vado in Comune per il rinnovo della carta d'identità, penso che avrei potuto esserci io lì, dietro quello sportello. E mi torna subito il buon umore. 

Sembravo allora destinata ad una carriera da invalida pensionata, dopotutto. Avevo cercato ovunque, incluso posti da centralinista e in sacchettificio. Non ricordo nemmeno come, ma un bel giorno mi invitarono a un colloquio per un posto part-time in un comitato che doveva occuparsi di mobbing. Io manco sapevo cosa fosse il mobbing  - purtroppo lo avrei capito solo dopo diversi anni di lavoro -, ma comprai un sacco di libri e studiai come una matta. Poi però il comitato non venne creato e mi ritrovai full time in un ufficio per l'orientamento allo studio e alle professioni. Avendo lavorato a Telefono Azzurro, mi offrirono di aiutare a metter su un servizio di consulenza psicologica basato sull'invio telefonico. 

Per fortuna gli studenti universitari sono prevalentemente ansiosi, anziché depressi e, soprattutto, non sono dei bambini!

Così per un po' mi accontentai. 

Ma non era quello che avevo in mente per me, non solo quello almeno. Iniziai a proporre delle idee, che incontrarono spesso scetticismo. Il mio primo workshop fu sul metodo di studio e persino una cosa banale come le ripetizioni date da ragazza, mi aiutò a esplicitare tecniche e strategie, che di solito si applicano senza nemmeno rendersene conto. Quella fu la prima volta che qualcosa di "mio" aveva successo, al punto da crearci sopra un nuovo servizio. 

E per un po' fui soddisfatta. 

Per un po'… finché un'altra idea non iniziava a prendere forma. Così, anno dopo anno, format dopo format, ho cercato di fare qualcosa che mi rendesse felice. Ci sono riuscita? Spesso sì, sempre per un po'. 

In verità vi dico, solo la noia volendo è infinita: la felicità è eterna finché dura. 

Sono abbastanza sicura che tutti gli eroi delle favole, una volta sentita pronunciare la fatidica frase "…e vissero felici e contenti", si siano guardati l'un l'altro e abbiano pensato: "Sì, vabbeh, ma ora che si fa?".

Stanno cercando di insegnare ai vostri figli ad accontentarsi, che è come dire che gli stanno insegnando a perdere. Ora, io figli non ne ho, ma quando mi capitano sottomano quelli altrui, appena mamma e papà si voltano, se non c'è la Fornero nei paraggi, quello che dico loro è che devono immaginarsi un sogno bellissimo da realizzare e devono lavorare giorno dopo giorno per renderlo sempre più vero. E non importa se quel sogno cambierà nel corso della vita, non importa nemmeno se non lo realizzeranno del tutto. 

Quotidianamente incontro persone che si lasciano vivere, anziché vivere. A volte capita che si sveglino dopo anni di torpore e si chiedano cosa abbiano fatto sino a quel momento. E alle proprie spalle vedono solo giorni tutti uguali, in cui non sono stati tristi, ma nemmeno felici. Erano vivi solo formalmente, perché se non hai dei sogni nella vita, non rimarrai mai deluso. Il problema è che spesso deluso è meglio che anestetizzato.

Se è questo che vuoi per tuo figlio, se vuoi che si accontenti, così da non sentirsi mai disperato, ma nemmeno davvero felice, allora fai prima a imbottirlo di antidepressivi fin dalla più tenera età: così la smette di essere iperattivo e adegua l'umore al resto della sua vita.

E' davvero questo che vogliamo trasmettere alle nuove generazioni? Vogliamo insegnare loro che se non puntano in alto, non correranno mai il rischio di perdere? Ma non è meglio perdere che non provarci nemmeno? Non è meglio partecipare alle Olimpiadi e arrivare ultimi, che non essersi mai dati il permesso di sognarle? E anche se non vinceranno, rimpiangeranno il tempo in cui si allenavano per un obiettivo che non hanno centrato, oppure avranno la soddisfazione di dire: "Se non altro io ci ho provato davvero!"

Molti credono che, se non sei la figlia della Fornero, studiare non ti dia certezze, figuriamoci permetterti di sognare. Ma la verità è che, se mantieni la mente aperta, tutto ciò che impari nella vita, prima o poi ti servirà, sempre che da qualche parte ci sia qualcosa che desideri.

Beh, io ho un nuovo sogno e stavolta ho deciso di sognarne uno davvero enorme: così grande e lontano da sembrare utopia. E forse anni fa sarebbe stato utopia, perché non sapevo un sacco di cose e, soprattutto, a prescindere dall'auto-analisi, non sapevo chi ero.  

Io sogno di aiutare i normodotati a capire, accettare e adattare il loro mondo, per accogliere anche i sognatori non deambulanti. Io sogno di cambiare le persone, anche le più ignoranti, le più testarde, le più "politicamente corrette" e so che se ci credo davvero, queste persone cambieranno.

Io ho un sogno e mi risulta che chiunque abbia concluso qualcosa nella vita, ne avesse uno, spesso nemmeno tanto piccolo.






1 commento:

  1. Quanto mi piace quello che scrivi. Credo che fondo mentalmente i ragazzi di oggi vivano nell'apatia. Io ricordo perfettamente che dopo 4 anni che lavoravo con due colleghe di minore anzianità nell'ufficio paghe di un centro di elaborazione dati e che, in assenza della "capufficio" incinta mi facevo un mazzo così, ho deciso per la libera professione il giorno che il titolare mentre parlavo con un cliente, mi ha messo una mano sulla spalla chiedendomi " sei in grado?" Certo che ero in grado, chi credeva gli stesse portando avanti lo studio da sei mesi... Lo spirito santo? Ecco a volte ci vuole coraggio nella vita, coraggio di raggiungere gli obiettivi. É se parti a farlo... li stai già raggiungendo. Tu l'hai capito.

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